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2014/11/16

Reggio Emilia – una comunità orizzontale/a horizontal community


Una storia emiliana
Filippo De Pieri


Le diciotto famiglie che nel 1960 si insediano nel Villaggio della Nebbiara, alla periferia sud di Reggio Emilia, hanno in comune alcune aspirazioni. Una prima aspirazione riguarda l’accesso alla proprietà della casa: il Villaggio è costruito da una cooperativa che accede, per la sua realizzazione, a fondi del programma Ina-Casa. Una seconda aspirazione riguarda la possibilità di creare, in una città in espansione e in pieno miracolo economico, le condizioni per la costruzione di una comunità piccola ma attraversata da forti legami.

La cooperativa che fonda il Villaggio ha in parte origine in un’esperienza professionale. Alcuni membri provengono dalla Cooperativa architetti e ingegneri di Reggio Emilia (Caire), un gruppo di progettisti molto attivo sul territorio reggiano e impegnato tra l’altro, negli anni precedenti, nel disegno di alcuni interessanti quartieri di edilizia residenziale. Per questa ragione il complesso è anche noto a Reggio con il nome di “Villaggio Architetti”. A unire gli abitanti è anche una sentita fede religiosa: cerimonie e rituali cattolici contribuiscono a scandire fin dall’inizio l’esperienza del luogo. Le due componenti, professionale e confessionale, trovano una sintesi nella personalità di Osvaldo Piacentini (1922-85), l’architetto-urbanista che è stato uno dei fondatori della Caire ed è vicino a don Giuseppe Dossetti, per il quale ha lavorato tra l’altro al Libro bianco su Bologna del 1956. Della parrocchia del Preziosissimo Sangue, eretta nel quartiere nel 1966, Piacentini diventa diacono alla fine degli anni settanta.

Quando il Villaggio viene completato si trova letteralmente in aperta campagna. Il progetto iniziale prevede ampi spazi verdi comuni, una centrale termica, uno stenditoio, un teatro, un asilo nido, un negozio e un bar: non tutto sarà realizzato. Nei primi anni la vita della comunità residenziale è segnata dalla presenza di un grande numero di bambini. A casa Piacentini sono quattro ma crescono nel tempo fino a diventare dodici, ponendo il problema di come occupare case che sono state pensate inizialmente per il modello di una famiglia nucleare standard. Anche la città intorno al Villaggio non tarda a crescere. Nel 1962, dopo l’approvazione della legge 167, il piano per l’edilizia economica e popolare di Reggio Emilia redatto dalla Caire prefigura la realizzazione di nuovi nuclei abitativi e di servizi. Poco dopo arriveranno scuole, negozi, un centro direzionale.

Questa unità residenziale orizzontale sembra condensare, nel suo spazio raccolto e nella sua breve storia, alcune questioni che vanno al cuore di quello che è stato chiamato il modello emiliano di governo del territorio: l’obiettivo di costruire una città in cui le differenze sociali siano destinate progressivamente ad attenuarsi; la fiducia nel cooperativismo; il dialogo tra culture amministrative comuniste e culture cattoliche; il decentramento come occasione per sperimentare nuove forme di uso della città contemporanea. Il Villaggio rimanda a un’Italia che può apparire molto remota, ma al tempo stesso le esperienze di abitare condiviso compiute in questo luogo presentano dei tratti di sorprendente modernità. Ne parleremo con Chiara e Roberto, rappresentanti di una comunità di abitanti che, nata sotto il segno dell’associazione volontaristica tra individui uniti da comuni interessi e convinzioni, sembra oggi basarsi soprattutto sulla continuità nel tempo dell’insediamento familiare e sulla trasmissione alle seconde e terze generazioni di valori, memorie, stili di vita.



An Emilian story
Filippo De Pieri


The eighteen families that in 1960 went to live in the Nebbiara Village, in the southern periphery of Reggio Emilia, had some aspirations in common. One of them was to reach the goal of homeownership: the Village was built by a cooperative that obtained funding through the Ina-Casa program. A second aspiration was the hope to create – in an expanding city and in the years of Italy’s economic boom – the conditions for the construction of a small but strongly tied community.

The building cooperative that created the Village partly originated from a professional experience. Some members came from the Cooperative of architects and engineers of Reggio Emilia (Caire), a group of professionals that was especially active in the area of Reggio and that had been involved, in previous years, in the design of some interesting residential neighbourhoods. Which explains why the place is also known in Reggio under the name of “Architects’ Village”. The first dwellers also shared a strongly felt religious faith: in fact, catholic ceremonies and rituals contributed to articulate the experience of the place from the very beginning. These two components – a professional one and a religious one – are fused together in the personality of Osvaldo Piacentini (1922-85), the architect and planner who was among the founder of the Caire and who was close to political and religious leader Giuseppe Dossetti, for which he contributed to write the White book on Bologna published before the 1956 elections for the mayor of Bologna. In the late 1970s Piacentini became deacon of the church of the Preziosissimo Sangue, erected in the neighbourhood in 1966.

The Village was surrounded by open fields at the time of its completion. The masterplan reserved a large amount of common green areas and included various shared facilities: a central heating plant, a drying room, a theatre, a kindergarten, a shop and a bar – not all of this was implemented. During the initial years the life of the residential community was largely marked by the presence of a great number of children. The Piacentini family had four when they settled in the Village, but they grew up to twelve in the following years, posing the problem of how to occupy houses that had initially been designed having in mind the model of a standard nuclear family. The city surrounding the Village also started to grow soon. In 1962, after 167 law entered into force, the Caire-designed plan for economic and social housing in Reggio Emilia foreshadowed the construction of new residential neighbourhoods and facilities in the surrounding areas. School, shops, a large office centre arrived within a few years.

This horizontal neighbourhood unit seems to concentrate, in its cosy spaces and its short history, some questions that bring us to the heart of what has been called the “Emilian model” of territorial governance. These were, for example, the desire to build a city in which social difference seemed bound to gradually diminish; the widespread confidence in cooperativism; the dialogue between communist administrative traditions and catholic cultures; and decentralization seen as an opportunity to experiment new uses of contemporary city. The Village seems to come from an extremely remote Italian past, but the way this place has been inhabited through time also presents some surprisingly modern traits. We will discuss these issues with Chiara and Roberto, two members of a community of dwellers that – originally born from the free association between individuals who shared some specific interests and beliefs – appears today to mostly found itself on the continuity of families over time and on the transmission of values, memories and ways of living to a second or third generation of inhabitants.


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Reggio Emilia – una comunità orizzontale/<i>a horizontal community</i>
Reggio Emilia – una comunità orizzontale/<i>a horizontal community</i>
Reggio Emilia – una comunità orizzontale/<i>a horizontal community</i>
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